La Corte di Giustizia (sentenza Mascolo 26.11.14) – cui si era rivolta la Corte Costituzionale e il Tribunale di Napoli – si è pronunciata sulla compatibilità comunitaria della normativa italiana in materia di successione dei contratti a termine del personale docente e ATA della scuola statale per le supplenze annuali sull’organico «di diritto» per posti vacanti e disponibili (31 agosto).
I punti principali della decisione della Corte sono i seguenti:
a) L’accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70 sui contratti a tempo determinato si applica a tutti i lavoratori dipendenti pubblici e privati, compresi i docenti e il personale ATA (principio già affermato in molte sentenze precedenti).
b) La successione di contratti a termine per coprire posti vacanti in attesa di concorso potrebbe in astratto essere legittima perché sorretta da una causale temporanea. Tuttavia nel concreto della disciplina italiana, in assenza di scadenze certe per l’espletamento dei concorsi, tale successione è di fatto illimitata, quindi non giustificata da “ragioni obiettive” e finalizzata a far fronte a esigenze permanenti, dovute alla mancanza strutturale di personale di ruolo. Inoltre, secondo la Corte, posto che con il sistema del doppio canale vengono immessi in ruolo anche docenti selezionati non mediante concorso ma mediante partecipazione a scuole di specializzazione per l’insegnamento, non ha senso giustificare la reiterazione dei contratti a termine con l’attesa del concorso.
c) La normativa italiana non prevede quindi “ragioni obiettive” come limite all’abuso di contratti a termine. Lo Stato italiano potrebbe però applicare uno degli altri due limiti previsti dalla direttiva cioè “durata massima dei contratti”(art. 5, comma 1, lett.b) o “numero dei rinnovi” (lett.c). La nostra normativa non prevedeva il limite c) e quindi, ai fini di rendere la normativa italiana compatibile con la direttiva, occorre applicare almeno il limite b) cioè il limite dei 36 mesi massimi previsto dall’art. 5, comma 4bis dlgs 368/01 introdotto dalla L. 247/07.
d) La normativa italiana è inoltre in contrasto con la direttiva in quanto non prevede una misura sanzionatoria idonea a prevenire l’abuso dei contratti a termine. Tuttavia la conversione dei rapporti a termine in rapporti a tempo indeterminato non è una sanzione imposta dalla direttiva perché anche un idoneo risarcimento del danno potrebbe soddisfare le esigenze di prevenzione.
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Le prime pronunce successive alla decisione della Corte (Trib. Torino 5.12.2014; Trib. Sciacca n. 252 e 253/2014; Trib. Chieti n.726/2014) hanno condannato il Ministero a riconoscere l’anzianità dalla data del primo contratto e a risarcire il danno “da abuso dei contratti a termine” liquidato in varia misura. Hanno però rigettato le domande di trasformazione/costituzione di un contratto a tempo indeterminato.
Il Tribunale di Napoli (uno dei giudici che aveva rinviato alla CGUE) con sentenze 21.1.2015 ha invece condannato il Ministero:
- alla costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal giorno di superamento dei 36 mesi di lavoro con contratti a termine, precisando che tale sanzione può applicarsi solo a favore di coloro che hanno superato tale limite entro il 13/05/2011;
- al pagamento delle retribuzioni per i periodi di interruzione, ma solo dalla data di superamento dei 36 mesi;
- alla ricostruzione della carriera con computo degli anni di anzianità di servizio sin dall’inizio del rapporto e non con i limiti dell’art. 485 c. 1 (cioè “Al personale docente […] per intero per i primi 4 anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo) o dell’art. 569 c. 1 D.Lgs. 297/1994 (cioè “Al personale ATA…. sino ad un massimo di 3 anni e, per la restante parte, nella misura di due terzi”).
Inoltre, secondo il Tribunale di Napoli, la pronuncia della CGUE è applicabile anche alle supplenze su posti vacanti di fatto.
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Cosa succederà ora?
Per avere un’indicazione chiara circa le conseguenze della sentenza CGUE è necessario attendere la pronuncia della Corte Costituzionale (sulla legittimità dell’art. 4, commi 1 e 11, della L. n. 124/1999) davanti alla quale il giudizio deve ora proseguire. Tuttavia già da ora si possono dare le seguenti indicazioni:
⁃ chi ha superato i 36 mesi con una successione di contratti a tempo determinato per le supplenze su posti vacanti di diritto, può ottenere un congruo risarcimento del danno e il riconoscimento della anzianità dalla prima assunzione; sulla “stabilizzazione” (pur riconosciuta dalla sentenza di Napoli) sussistono invece ancora dei dubbi avendo la Corte affermato che la misura della conversione non è vincolante per gli Stati;
⁃ le supplenze temporanee per sostituzione sono considerate giustificate da ragioni obiettive e quindi anche se ripetute non danno luogo a risarcimenti;
⁃ la sentenza della CGUE non riguarda (perché la questione non le era stata sottoposta) le supplenze su posti vacanti di fatto (cioè al 30.6) tuttavia, come affermato dal Tribunale di Napoli, può ritenersi che gli stessi principi si applichino anche a tale tipologia di supplenza (ma potrebbe essere necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 c. 2 e 11 della L. n. 124/1999).