Con due sentenza gemelle emesse il 20 aprile 2016 la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la decisione del Tribunale di Brescia che dichiarava discriminatorio il comportamento dell’INPS in materia di assegno al nucleo familiare.

In effetti l’art. 2 commi 6 e 6 bis L. 153/88 prevedono un regime differenziato per i cittadini italiani (che possono computare nel nucleo anche i familiari a carico che risiedono all’estero) e per gli stranieri, ai quali tale facoltà non è riconosciuta. Tale diversità di trattamento è incompatibile con l’art 11 della  direttiva 109/2003 che prevede la parità di trattamento dei lungosoggiornanti con i cittadini italiani nel campo delle “prestazioni sociali, assistenza sociale, protezione sociale”.

La Corte ha precisato che, ove la prestazione venisse qualificata come previdenziale (secondo la prospettazione dell’INPS) il principio di parità sarebbe a maggior ragione applicabile in quanto il beneficio rientrerebbe tra le “condizioni di lavoro” ai sensi dell’art. 11, lettera a).

In ogni caso la Corte ha riconosciuto, richiamando la sentenza della Corte di Cassazione 6351/2015, che trattasi di prestazione assistenziale (in quanto “finalizzato ad assicurare una tutela in favore delle famiglie in stato di effettivo bisogno economico”). Per tali prestazioni la direttiva non consente allo Stato membro alcuna possibilità di deroga qualora la prestazione debba qualificarsi come essenziale: e tale è il caso – secondo la Corte, che richiama sul punto il 13mo considerando della direttiva –   dell’assegno al nucleo familiare  in quanto volto a  garantire un reddito minimo e l’assistenza parentale delle famiglie più  bisognose.

Corte d’Appello di Brescia, 20 aprile 2016 (sent.), K. e M (avv.ti Guariso e Neri) c. Inps e Coram

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