Sempre più spesso nella nostra attività quotidiana incontriamo lavoratori, molti dei quali stranieri, che spendono giornate e giornate di lavoro senza ricevere in cambio quanto dovuto, vedendo così violato uno dei principi più antichi della vita civile: “Non defrauderai il salariato povero e bisognoso, sia esso uno dei tuoi fratelli o straniero che sta nel tuo paese; gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e a quello aspira” (Deuteronomio 24, 14-15)
Incontriamo anche casi clamorosi dove la speranza di ottenere prima o poi qualche acconto, induce i lavoratori a prolungare per mesi questa sofferenza innescando cosi ulteriori disastri personali e familiari: il prestito della finanziaria che scade, la casa pignorata, la mensa dei figli non pagata e via così.
Talvolta queste situazioni sono davvero frutto della crisi, che stronca sinceri tentativi imprenditoriali di costruire una valida iniziativa economica; spesso, sempre più spesso, sono però il frutto di sconcertante superficialità, di inaccettabile menefreghismo, di disprezzo per il lavoro altrui, di insofferenza verso qualsiasi regola, ivi compresa quella così ovvia di compensare ciò che si riceve.
Per molti di questi lavoratori le presunte tutele “nel mercato” di cui si parla a proposito del jobs act rappresentano in realtà solo un ulteriore fattore di debolezza, che renderà più difficile la tutela di diritti già fragili.
A queste storie cosi faticose e difficili vogliamo dedicare (nella versione del mitico Bruce Springsteen) la famosa canzone degli scaricatori di porto della Georgia: perché è una canzone che – oltre a ricordarci il più elementare dei diritti – sprigiona una incredibile allegria. E anche di allegria c’è sempre bisogno quando si tratta di rivendicare con serenità e decisione i propri diritti.